I centri commerciali sono sempre di più “centri relazionali”: cioè luoghi dove si va più per motivi emozionali e sociali che non per fare acquisti. E i maghi del marketing stanno adeguando i nuovi i negozi a questa tendenza. Se è vero che un battito d’ali di farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo, figuriamoci cosa può provocare l’apertura di Ikea a San Giuliano Milanese.

O l’inaugurazione di un open-space (nel senso di un negozio senza indirizzo perché è ovunque) in cui si condivide un amore prima ancora dei prodotti (il nuovo social network iGroups per i patiti Apple). O l’apertura di un drugstore che vende solo alimenti per caraibici a Brixton (Cornercopia).

Conseguenze del retail 3.0 che, di pari passo all’evoluzione urbana, sta disegnando un’era in cui le botteghe spuntano come pop up e chiudono per poi riaprire in luoghi più strategici; in cui per le aziende è più difficile emozionare a colpi di metri quadri un consumatore freddato dalla crisi; in cui lo shopping comincia dalla fila all’entrata di un ambiente confortevole come il mal di testa (per accaparrarsi una magliettina con l’alce e sembrar machi, ignorando che in madrepatria il brand è roccaforte gay). Un’era infine in cui la vacanza post-recessione si fa negli outlet.

Benvenuti nel “neo-illuminismo” del retail, età della ragione in cui la distribuzione degli spazi si modifica in nome della maggiore scaltrezza e previdenza, ma anche come frutto dell’evoluzione nel marketing e nei consigli per gli acquisti (guerrilla, virali, emozionali) e quindi anche negli spazi in cui farli.

Sandro Castaldo e Chiara Mauri, docenti alla Bocconi e direttori dell’Osservatorio Retailing, nel loro Store Management (Franco Angeli) hanno individuato nei luoghi dei consumi delle piattaforme relazionali, “nodi chiave in cui si materializzano le connessioni tra domanda e offerta”, ancora più importanti dei prodotti.

L’evoluzione è trasversale e interessa grandi magazzini e centri commerciali, cittadelle dell’outlet e piccoli negozi, in un processo che mette sempre più al centro i bisogni e l’esperienza del consumatore, a beneficio dei più recenti e fortunati format spenderecci (i temporary store o i fashion outlet) e a scapito di altri. Ipermercati in testa: “Questi, con superficie commerciale oltre i 1.500 metri, dopo un primo momento di euforia ora sono in difficoltà”, dice Chiara Mauri:

Le aziende si sono rese conto che richiedono investimenti molto onerosi, affitti altissimi e grandi bacini di attrazione ormai saturi”. Oltre al fatto che la gente è più attenta all’ecologia, alla sostenibilità e ai costi della benzina, e ci pensa due volte prima di usare l’auto“.

Anche l’ultima indagine dell’osservatorio trimestrale di Red Marketing & Trade ha rilevato la “morte dei centri commerciali”: uccisi dai costi, dalla ripetitività dei brand, dall’artificiosità dell’atmosfera. “Tutto questo al consumatore evoluto non basta più”, aggiunge Mauri.

Dall’edonismo anni ’80 del lusso eterodiretto al voyeurismo del lusso egoriferito di chi ancora se lo può permettere (secondo la definizione di Annalisa Pavone in “Moda oggi fra lusso e low cost“, a cura di Ampelio Bucci, Vanni Codeluppi e Mauro Ferraresi, Arcipelago), i consumi illuminati sono conseguenza della recessione. “Siamo più attenti a spendere”, dice Francesco Gallucci, presidente di 1to1Lab, laboratorio di ricerca e sviluppo del marketing emozionale:

“Da un’indagine su un campione di 500 supermercati tra Milano, Roma e Bari, abbiamo rilevato una media di 40 minuti spesi nello shopping, di cui il 50 per cento dedicati all’apprendimento. Ognuno impiega 20 minuti a informarsi”.

Meglio se in ambienti customer-friendly, senza barriere. Sconfiggeva quelle architettoniche il supermercato Coop aperto nel 2005 a Gavorrano (Grosseto): qui l’associazione delle nove cooperative, con la consulenza della Federazione italiana per il superamento degli handicap, ha sperimentato il modello del “supermercato dell’accoglienza” con percorsi tattili per i non vedenti, mappe in braille e sui pulsanti dei tagliacode, corsie più larghe, casse con precedenza a mamme e disabili.

Modello esportato in una ventina di punti vendita: “In Toscana, Lombardia a Desio e Varese e in Emilia, nel recupero di alcune accortezze tecniche che facilitano il movimento delle persone con difficoltà motorie”, spiega Silvia Mascagni, ufficio stampa Coop: “Dove possibile abbiamo introdotto isole pedonali nei parcheggi e nursery nei bagni anche degli uomini: l’ultima all’Ipercoop di Livorno”.