Ora vanno di moda i “concept store”, che magari sono adatti a chi è più in grana (tra i proprietari, ma anche tra i clienti), mentre intanto, tra i circa 50.000 negozi multimarca indipendenti sparsi sul territorio italiano c’è pure qualche gestore-titolare che cerca di mimare un paio di idee ed espedienti per stare al passo con le nuove tendenze in fatto di marketing, approccio alla vendita e conoscenza del consumatore.”
Insomma, vai da Prada in via Montenapoleone a Milano e vieni avvolto, tu cliente, in una seducente atmosfera multisensoriale, un’architettura di suoni, immagini, profumi ed effetti, pensata da designer e comunicatori di razza, che ti trasferisce, mente e corpo, in una galleria percettiva ed emozionale, coerente con il marketing aziendale e con la merceologia esposta, e in grado perciò di trasformare, secondo rigorosa logica di pianificazione, «l’intenzione di acquisto in un atto di acquisto vero e proprio e, in ultima analisi, l’intero processo di acquisto in un’esperienza di consumo».
Aggiunge però ancora Karin Zaghi (in Shopping esperienziale, festa per i sensi, «viasarfatti25.it», 22 dicembre 2008) che «il contatto tra marketing e multisensorialità si fa sempre più stretto, fino a giungere a una vera e propria compenetrazione nel punto vendita multisensoriale»; da cui si ricava che «il successo del punto vendita può dipendere anche dalla memorabilità dell’esperienza estetica, intesa come interiorizzazione di un oggetto o di un’emozione attraverso i sensi».
Naturalmente il “concept store” viene dalla patria delle strategie di consumo innovative. Le quali con i nuovi consumi, i nuovi oggetti, i nuovi mestieri, i nuovi significati che vecchi oggetti ripensati assumono, portano con sé nuovi vocaboli e nuove semantiche.
Dagli USA oltre a concept store (attestato nell’italiano scritto dal 2002), ci viene, per esempio, un drappello di termini che affiancano e tendono a sostituire, essendo talvolta dotati di effettive screziature semantiche nuove, i corrispettivi italiani. Limitiamoci ai più vicini: retail per “vendita al dettaglio” (dal 1990 in italiano) e retailer per “negozio” (o, se vogliamo tecnicizzare, “esercizio che vende al dettaglio”), dal 2001 in italiano; shopping experience, che molti amano tenere così, nella forma non adattata, sentita più cool rispetto al mix semi-adattato anglo-italico shopping esperienziale (dal 2005 nell’italiano scritto).
Le ultime due locuzioni sorelle si cristallizzano, di fatto, in un’entità sostantivale unica, di genere maschile. Negli Stati Uniti si parla di shopping experience certamente da prima del 1997, anno che resta comunque un riferimento importante perché vi si pubblica il volume collettaneo di studi The Shopping Experience (curato da Pasi Falk e Colin Campbell; Sage Publications, Newbury Park CA). A ben vedere, poi, anche la versione “all’italiana” shopping esperienziale è comunque debitrice dell’inglese, oltre che nel tradizionale shopping “l’andare in giro a far compere” (dal 1972 nell’italiano scritto), pure nell’aggettivo esperienziale,dall’aspetto tutto italico, anche se dall’aura tecnicistica decisamente rilevata. Infatti esperienziale traduce l’inglese experiential ed è attestato dal 1983 nell’italiano disciplinare della filosofia e della psicologia: proprio dalla psicologia assume la forte carica introiettiva, che si riferisce alle sensazioni interiori suscitate dall’esperienza stessa vissuta dal soggetto.
Ed eccola, dunque, la nuova frontiera del consumo (frontiera, come tutte le frontiere, bi-fronte: ché riguarda le strategie espositive del venditore e insieme la disponibilità edonistica e narcisistica dell’acquirente): nel punto vendita si integrano la funzione di vendita di merci con quella di una teatralizzazione dell’offerta e della creazione di esperienze emozionali per il consumatore solleticato e performato come piccolo esteta neo-dannunziano. Una sottile e seduttiva strategia di marketing insinua che comprare non è più un atto a senso unico, ma può essere raccontato e costruito come un’immersione polisensoriale in un ambiente d’atmosfera e di design, che sollecita il desiderio e l’autostima, riducendo al lumicino i sensi di colpa per la compulsività originaria del gesto voluttuario, facendo dell’acquisto di un prodotto in vendita – esposto a regola d’arte, cioè concepito come componente di un arredo che costruisce senso e (una) storia del o dei brand presenti – il momento apicale del flusso ludico-ricreativo tonificante in cui l’individuo-cliente è stato calato e si è calato.
Il lemma
shopping esperienziale locuzione (formata con il s.m. invar. shopping “l’andare in giro a fare compere” e l’aggettivo esperienziale) usata come sostantivo maschile. – La pratica dell’acquisto di un prodotto, organizzata dal venditore e vissuta dal cliente come un’esperienza che coinvolge la sfera emotiva e sensoriale, grazie anche alla trasformazione del punto vendita, attraverso innovative soluzioni di design e di esposizione della merce, da semplice luogo d’acquisto a luogo di permanenza e di intrattenimento. Elaborato dalla redazione di “Lingua italiana” del Portale Treccani
Esempi d’uso
Il caso descrive i punti vendita di un’insegna che commercializza prodotti per la cura del corpo, soffermandosi in modo particolare sugli elementi in grado di stimolare sensorialmente l’acquirente. Al fine di rendere immediata la comprensione dell’atmosfera e della dislocazione dei prodotti all’interno dei due negozi, la trattazione è arricchita con il supporto di alcune immagini fotografiche. […] Il caso richiede inoltre uno sforzo interpretativo volto all’identificare gli strumenti più appropriati a supportare la decisione di investire o meno nello shopping esperienziale.
www.asfor.it, 2005 (Asfor: Associazione italiana per la formazione manageriale)
Dal museo del design agli showroom, alle esposizioni, alle vetrine la strada non è molto lunga se infatti si parla di eduentertainment per le strutture culturali analogamente oggi si parla di shopping esperienziale per lo spazio retail. Una diffusa sensibilità alla sperimentazione di nuovi linguaggi e di specifiche aperture nella messa in scena del design, parte dal museo per raggiungere gli showroom, il mondo retail, le vetrine stesse, in attesa della sfida futura sulla capacità attrattiva delle nuove generazioni creative.
Giulio Ballio, da Territorio, ricerca e formazione, in Milanomadeindesign – 1a tappa 19 maggio-10 giugno 2006 (Milk Gallery 450 West 15th Street, New York),
http://www.sistemadesignitalia.it/sdi/_img/designdirectory/designdirectory.pdf
«La cosiddetta ibridazione dei pubblici esercizi è un fenomeno recente che interpreta le nuove esigenze della clientela – spiega Edi Sommariva, direttore del Fipe-Confcommercio – Una clientela che chiede sempre meno prodotti e sempre più ‘mondi’, in cui trovare cuore, esperienze, cultura». E, infatti, negli studi di marketing si è coniata l’espressione “shopping esperienziale” per parlare di quel felice corto-circuito tra i molteplici servizi offerti al cliente.
«La Repubblica», 22 luglio 2007
Shopping esperienziale, festa per i sensi – Acquisti: i segreti della stimolazione multisensoriale presso il punto vendita (titolo)
«viasarfatti25.it», 22 dicembre 2009
Shopping esperienziale, questa è la parola chiave. I punti vendita di piccoli e grandi marchi non sono più solo luoghi dove esporre la merce, ma nodi strategici nei quali si costruisce il brand.
«Corriere della sera», 29 maggio 2010