Il consumatore attuale ha bisogno spesso di rilassarsi, di vivere una pausa antistress. Cosa c’è di più piacevole del trascorrere un po’ di tempo nei nuovi empori della bellezza e dei sensi? Spazi dove gli abiti si mescolano ai profumi, ai libri, alle foto, agli oggetti unici ed esotici. Un aspetto è da sottolineare: il tutto deve essere costruito intorno ad un tema che fa da filo conduttore. E la brand identity in questo modo si rafforza.
Ma nel dettaglio cosa si intende con concept store?
Il concept store si pone come strumento innovativo nel retail, ma non ne esiste una definizione univoca e universalmente riconosciuta.
La sua nascita è ‘collocata’ negli anni Ottanta quando, a partire dagli Stati Uniti, molte aziende hanno cominciato a creare punti vendita tematici, dove il consumatore potesse non solo acquistare dei prodotti, ma entrare nel “mondo” proposto dalla marca.
Il concept store può esser definito come negozio concettuale: il pensiero si sofferma sulla sensibilità, sul sesto senso. È un negozio che ha più offerte al suo interno, non è soltanto un centro commerciale. Sfruttando le potenzialità di comunicazione del punto vendita, invita il cliente ad immergersi nella “filosofia aziendale”, in una memorabile esperienza di shopping.
Negli Stati Uniti, lo stilista Ralph Lauren, intuendo le potenzialità di questo nuovo modo di vendere, inaugurò a New York il suo primo concept store nel 1986, scegliendo come tema l’’americanità’, ovvero la suggestione di un’atmosfera americana, di uno stile di vita ideale e lussuoso ricostruito come un set cinematografico.
In Italia, lo stilista Elio Fiorucci, un precursore di tendenze, negli stessi anni ’80 riuniva in un unico spazio di vendita moda, gadget, articoli per la casa, con grande attenzione all’atmosfera e allo shopping come esperienza.
A Milano si trova anche uno storico concept store: Como 10 (di Carla Sozzani). C’è poi il Tad a Roma, pensato come una quinta cinematografica, un appartamento che suddivide i vari spazi e dove si mescolano oggetti orientali a elementi occidentali, l’arte contemporanea al design, ma anche fiori, profumi per il corpo, incensi. Anche Giorgio Armani ha aperto un negozio di questo tipo: l’Armani/Manzoni 31 a Milano, primo di una lunga serie.
Per creare un negozio di questo tipo bisogna scegliere un percorso sensoriale ben definito, selezionare il target cliente, individuare uno o più stili di vita da proporre, acquisire una identità forte e comunicarla con coerenza in tutti i dettagli (personale, packaging, immagine, servizi, ecc.). Servono scelte coraggiose, coerenza d’immagine e molta creatività. La differenza non è determinata dall’offerta: possiamo trovare prodotti di un unico marchio o tipologia merceologica, punti vendita iper-specializzati, come un ristorante, una libreria a tema.
Il concept store è un luogo di sperimentazione dove si possono fondere stili e prodotti, servizi ed eventi che altrove potrebbero non essere compatibili. I punti strategici sono l’ambientazione, l’idea ed il tema scelto. Il suo punto innovativo rispetto ad altre forme distributive è la centralità dell’atmosfera, la messa in scena del prodotto, la spettacolarizzazione della merce. L’ambiente negozio prevale sul prodotto, per estremizzare. Si ricerca, pertanto, attraverso una ricerca accurata di luci, colori, musiche, profumi e sapori (in qualche caso) di stimolare tutti i sensi. Il concept store appartiene all’era del marketing esperienziale.
Diversamente da un centro commerciale qualsiasi, dove i punti strategici e attrattivi per il cliente sono il prezzo, l’assortimento, profondità e posizionamento, nel concept conta l’atmosfera o la storia che esso racconta. Questo perché, come già detto, ciò che si vende è l’esperienza che il cliente può portarsi a casa con ciò che acquista, e non solo la merce.
Ha l’obiettivo di intrattenere a lungo il cliente all’interno del punto vendita, con grande cura del dettaglio e un’offerta articolata. Esso risponde bene all’esigenza di concentrare e soddisfare contemporaneamente e in un unico spazio più bisogni. Il tempo libero è poco per tutti, così nello shopping si cerca divertimento od intrattenimento, momenti di benessere, relazioni, informazioni. Se fare acquisti diventa sempre più complicato, anche vendere diventa difficile ed è necessario sedurre i clienti con stimoli cognitivi ed affettivi. Oggi, soprattutto grazie a questi punti vendita, si tende a parlare di “consum-attore” e non più di consumatore passivo incantato dalla pubblicità.
Il punto vendita diventa il miglior veicolo di comunicazione che può essere usato da parte dell’azienda, la quale mettendo in scena la filosofia del proprio marchio, cerca di conquistare un consumatore sempre più ‘infedele’ ed annoiato dalla pubblicità.
Il punto vendita si trasforma da luogo d’acquisto (point of purchase) a luogo di relazione o intrattenimento (point of permanence). Esso diventa un playground teso a rafforzare la relazione tra brand e consumatori e soprattutto a espandere l’audience dell’offerta.